La mia prima Strade Bianche, prima gara dell’anno con Sportograf in quel di Siena.
Le emozioni sono molte e variegate.
La prima gara della stagione, la paura sale e si accompagna all’ansia da prestazione.

L’alba sorge e il gruppo di “sportografi” è pronto a raggiungere le postazioni che sono state assegnate. Raggiungo la mia, alla fine di un viale alberato.
Decido in questa gara di scattare con due reflex: una collegata ad una fotocellula e l’altra in mano. Sarà la mia prima volta.
Incomincio a settare tutta la strumentazione: imposto la fotocellula cercando un punto sicuro ma studiando un’inquadratura adatta. Scelgo un’ottica grandangolare, dal basso verso l’alto, così da dare risalto ai corridori. Cerco qualcosa per camuffarla, rami e foglie di alberi tagliati a bordo strada. Imposto il fuoco e faccio diversi test, con la complicità di un collega.

Cambio spesso idea di inquadratura e parametri di scatto. Alla fine, forse per prudenza, decido di tenere la seconda fotocamera vicino, così da poterla manovrare in caso di imprevisti.
Arrivano le auto ammiraglia e le prime moto, a seguire i corridori. Sono pronta. Incomincia la musica a ritmo di otturatore, un suono familiare. Ritrovo subito sicurezza dietro l’obiettivo, magicamente ricordo cosa devo fare e la mente è libera.

L’imprevisto è un corridore: Massimiliano Natali.
Non lo conosco in realtà, ma gli occhi mi diventano lucidi e saltano gli schemi e faccio fatica a rimanere concentrata. Conosco quella sensazione, la definiscono “emozione”.

Gioia o forse ammirazione per colui che ha deciso di intraprendere una gara in sella alla sua olandesina blu, in un percorso di quasi 90km, con pendenze oltre il 16% e oltre 20km di sterrato. L’olandesina non è una bici comune, perché è senza marce. Lo incito con naturalezza, come farebbe un tifoso con la sua squadra del cuore.
6 anni di preparazione gli sono serviti per essere li e ora se la gode. Io con lui, piangendo dietro una fotocamera. Mi sembra follia quell’impresa, ma spero di rivederlo all’arrivo.

Passano tutti i corridori, anche l’ultimo va fotografato, sempre, per rispetto. Giunge l’ora di spostarci alla seconda postazione. Mi è stata assegnata la salita di Santa Caterina, una salita tosta, lunga, sfiancante, a fine percorso, dove le persone si radunano per sostenere amici, parenti, compagni o semplicemente sconosciuti che hanno bisogno di un incitamento, di una spinta. L’atmosfera da subito diventa calda. Ai primi, solo applausi e sguardi pieni di ammirazione. Superano la salita in velocità. L’incitamento maggiore viene riservato alle donne. Non una è passata senza aver preso almeno un “brava”.

I corridori affrontano la salita con coraggio seppur alcuni con qualche difficoltà. Gente comune, sconosciuta, si offre per una spinta, per un grido di incitamento, per un “dai che ce la fai, è quasi finita”, anche per chi è sceso dalla bici, forse riconoscendo i propri limiti. Passano i minuti, le ore.

Dopo quattro ore e mezza dall’inizio di gara, una bici blu spunta all’orizzonte.
Qualche attimo per realizzare e subito un boato si accende tra la folla. Lui è distrutto, quasi in piedi sulla sua bici, con lo sguardo verso il cielo, forse in cerca di ispirazione o in cerca di una benedizione santa. Vorrei smettere di fotografare, avvicinarmi e dargli una spinta per aiutarlo, ma non posso, non è quello il mio compito. Il mio lavoro è donargli un ricordo. Scatto, piango, grido, urlo e scatto ancora. Ce l’ha fatta, è in cima, il traguardo è vicino, il peggio è passato, ce l’ha fatta!
Lucchetto la foto, la seleziono per i migliori scatti. Mi asciugo le lacrime, bevo un po d’acqua e continuo ad incitare tutti i partecipanti, continuo a scattare. Fortunatamente, dopo oltre 7 ore il mio lavoro volge al termine. Si scaricano le foto, si mangia e ci sia avvia verso casa. L’impressione che si ha è di stanchezza ma anche di soddisfazione, per aver portato a termine un’altra gara, sapendo che ce ne sarà un’altra altrettanto tosta. Perché sembra che quei km, li abbiamo corsi anche noi addetti ai lavori, a ritmo di scatti però. È un lavoro faticoso, ma per me è anche il più bello. Non importa il freddo, la sveglia all’alba, il sole o la pioggia, la polvere, la fame e il sonno.

Il nostro compito è donare un ricordo. Lasciare impressa una foto, di un attimo o di tutta una gara. Un racconto di un’impresa, di una folle “olandesina in the sky”.
Marta.